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Start up trentina produce visiere per proteggersi dal Covid 19
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Start up trentina produce visiere per proteggersi dal Covid 19

In un momento in cui c’è carenza di misure personali per proteggersi dal Coronavirus sono sempre di più gli Italiani che si stanno ingegnando per inventare nuove soluzioni per proteggere se stessi e gli altri. Ad esempio il Museo delle scienze di Trento ha attivato il proprio FabLab — l’officina digitale del museo — per realizzare visiere protettive in plastica che fossero oltre che protettive anche biodegradabili, dando quindi anche un occhio all’ambiente.

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Apollon: cittadini protagonisti nel progetto per monitorare l’aria e il rumore urbano

Utilizzare smartphone e dispositivi IoT (Internet of Things) come sorgenti dati per il monitoraggio ambientale: questa la sfida del Progetto ‘Apollon’ (environmentAl POLLutiOn aNalyzer), promosso dalla Società Italiana di Medicina Ambientale (SIMA), dal Dipartimento di Ingegneria Elettrica e dell’Informazione (DEI) del Politecnico di Bari, dal Consorzio Interuniversitario Nazionale per l’Informatica (CINI) e dalla Fondazione Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC). L’obiettivo è quello di conformare le misure con la normativa nazionale e locale vigente in tema di qualità ambientale, fornire supporto agli amministratori competenti per la gestione dei principali fattori di inquinamento, integrare i dati provenienti dalle centraline fisse su inquinamento e flussi di traffico e realizzare modelli previsionali locali, a breve termine, di qualità dell’aria e di inquinamento atmosferico. Leggi

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Inventato un software che verifica lo stato di coscienza in pazienti in stato vegetativo e comatoso, presso il Centro Puzzle di Torino

E’ un progetto al momento sperimentale negli spazi del Centro Puzzle di Torino e se darà i risultati sperati potrà migliorare la vita di quei pazienti in stato vegetativo e pazienti in condizione di minima coscienza non-responsiva, che in Piemonte sono circa 1500.

L’ago della bilancia è l’invenzione di un software in grado di verificare la presenza di uno stato di coscienza in pazienti post-coma che non riescono a comunicare ed è il cuore del progetto scientifico coordinato dal Centro Puzzle e cofinanziato dalla Fondazione Cassa Risparmio di Torino.

Il dispositivo grazie ad una interfaccia cervello–computer può permettere ai medici di diagnosticare la presenza di uno stato di coscienza in pazienti non responsivi, cioè in quei pazienti che usciti dal coma sembrano non rispondere più agli stimoli esterni. L’obiettivo è dunque di sviluppare un’interfaccia che permetta di rilevare le intenzioni motorie dei pazienti senza considerare i movimenti più o meno visibili.

 

Il cuore del progetto “Interfaccia neurale”

Ha preso il via il progetto scientifico “Interfaccia Neurale per valutare il livello di coscienza dei pazienti non responsivi e favorirne la comunicazione con l’esterno”, coordinato dal Centro Puzzle e cofinanziato dalla Fondazione Cassa Risparmio di Torino.

<Alcuni studi suggeriscono che il 43% dei pazienti oggi diagnosticati come stato vegetativo, pur avendo recuperato lo stato di coscienza, non riescano a manifestare alcun segno di presenza di coscienza durante i test diagnostici – spiega la dottoressa Marina Zettin, direttore del Centro Puzzle -, il motivo è che questi test si basano solo su risposte motorie a comandi verbali e questi pazienti spesso soffrono di una totale paralisi che include anche il battito palpebrale e i movimenti oculari. Per questo credo che ci sia da investire>.

 

Il gruppo di ricerca del Centro Puzzle (che collabora con l’ospedale Cto e l’Unità Spinale Unipolare della Città della Salute di Torino), grazie ad un cofinanziamento della Cassa di Risparmio di Torino, sotto la guida della dottoressa Zettin, ha iniziato a sviluppare un’interfaccia cervello-computer per permettere ai medici di diagnosticare la presenza di coscienza in pazienti non responsivi, cioè in quei pazienti che, usciti dal coma, sembrano non rispondere più ad alcuno stimolo.

 

Il progetto è stato ideato dal dottor Vito De Feo ed è svolto in collaborazione con il Neural Computation Laboratory dell’Istituto italiano di tecnologia a Rovereto (diretto dal professor Stefano Panzeri), con il Dipartimento di automatica e informatica del Politecnico di Torino, che partecipa tramite il gruppo di ricerca della professoressa Gabriella Olmo, e con il Dipartimento di psicologia dell’Università di Torino, che partecipa tramite il gruppo di ricerca diretto dal professor Giuliano Geminiani.

 

La dottoressa Zettin ed il suo gruppo di ricerca, tra cui il dottor Danilo Dimitri, vogliono rispondere all’esigenza di riuscire a sviluppare un’interfaccia cervello-computer che permetta di rilevare, grazie a misurazioni non invasive, come quelle elettroencefaliche ed elettromiografiche, le intenzioni motorie di questi pazienti indipendentemente dal fatto che producano o meno un movimento visibile all’esaminatore.

L’ipotesi progettuale presuppone che le persone con basso grado di coscienza siano in grado di pianificare i movimenti richiesti dall’esterno, ma non siano in grado di eseguirli correttamente. Grazie ad un innovativo metodo di analisi di questi segnali elettrofisiologici, cercheranno di isolare e classificare i cosiddetti potenziali elettrici di prontezza, usati per la prima volta in pazienti non responsivi.

 

L’analisi di questi segnali permetterebbe di distinguere tra movimenti totalmente inconsapevoli (esempio: riflessi) e movimenti intenzionali rivelando la presenza di intenzione e coscienza. Il programma computerizzato consentirà l’analisi di specifici parametri elettrofisiologici (elettroencefalografia, Eeg) ed elettromiografici (elettromiografia, Emg), per distinguere i movimenti intenzionali da quelli riflessi.

 

Obiettivo: migliorare la diagnosi di questi pazienti

Secondo i medici i criteri e gli strumenti oggi utilizzati per fare diagnosi differenziale tra questi pazienti siano insufficienti. <La valutazione clinica allo stato attuale non è in grado di distinguere oggettivamente tra riflessi motori che potrebbero celare, in realtà, tentativi malriusciti di esecuzione intenzionale di movimenti, e riflessi automatici privi di intenzionalità di alcun genere – prosegue Zettin -. Per avere un’idea dell’entità del fenomeno, basta considerare che, in Italia, una persona ogni tre che si trova in coma, ha un’età compresa tra 0 e 15 anni e circa 700 bambini si trovano attualmente in stato vegetativo>.

I risultati della sperimentazione potrebbero essere interessanti. L’interfaccia progettata, non solo permetterebbe una migliore diagnosi nelle realtà cliniche, ma consentirebbe anche ai pazienti stessi di comunicare semplici intenzioni (“sì”, “no”) al personale medico, aumentando considerevolmente la loro qualità di vita e l’efficacia delle terapie neuro-riabilitative – conclude la dottoressa Zettin -. Migliorerebbero anche l’assistenza di caregiver e operatori grazie a più precise indicazioni che potremmo fornire loro>.

 

I pericoli per il nostro cervello

A seguito di importanti eventi traumatici (per il 40% incidenti stradali), vascolari (ictus o emorragia cerebrale), anossici o infettivi, il cervello può andare incontro a severi danni, che spesso conducono al coma. 250mila persone ogni anno entrano in coma a seguito di incidenti, intossicazioni o malattie. Il coma, tuttavia, rappresenta solo una condizione transitoria. Alcuni pazienti non riescono a superare la fase acuta e muoiono. Altri, invece, dopo alcuni giorni o qualche settimana, si risvegliano. I più fortunati, circa un soggetto ogni tre, recuperano completamente lo stato di coscienza. Gli altri pazienti, invece, passano dal coma ad una serie di condizioni cliniche identificate come stato vegetativo in cui la coscienza è totalmente assente, e stato di minima coscienza, dove, invece, c’è uno stato emergente di coscienza, spesso molto difficile da diagnosticare.

 

Mentre i pazienti in coma non riescono a svegliarsi, i pazienti in stato vegetativo e stato di minima coscienza recuperano la vigilanza, ovvero riaprono gli occhi e alcuni riflessi involontari. Fino a qualche anno fa si riteneva che tutti i pazienti usciti dal coma, che non erano responsivi, fossero in stato vegetativo, privi totalmente di consapevolezza di sé e dell’ambiente circostante.

Negli ultimi anni, tuttavia, si sono accumulate le evidenze di presenza di coscienza anche in pazienti non responsivi, rivelando una elevata incidenza di errore diagnostico. Alcuni studi, infatti, suggeriscono che ben il 43% dei pazienti oggi diagnosticati come stato vegetativo, pur avendo recuperato lo stato di coscienza, non riescano a manifestare alcun segno di presenza di coscienza durante i test diagnostici. Il motivo è che questi test si basano unicamente su risposte motorie a comandi verbali e i pazienti in stato vegetativo, spesso soffrono di una totale paralisi che include anche il battito palpebrale ed i movimenti oculari.

 

A livello nazionale si stima che le persone che giacciono in stato di non responsività siano alcune migliaia e che tale numero sia inesorabilmente destinato a crescere, sia in considerazione dell’accresciuta precocità ed estensione sul territorio della medicina d’emergenza, che alla prolungata sopravvivenza. Appare quindi chiaro che i criteri e gli strumenti ad oggi utilizzati per fare diagnosi differenziale tra pazienti in stato vegetativo e pazienti in condizione di minima coscienza non-responsiva siano insufficienti. La valutazione clinica, infatti, allo stato attuale non è in grado di distinguere oggettivamente tra riflessi motori che potrebbero celare, in realtà, tentativi malriusciti di esecuzione intenzionale di movimenti, e riflessi automatici privi di intenzionalità di alcun genere. Per avere un’idea dell’entità del fenomeno, basta considerare che, in Italia, una persona ogni tre che si trova in coma, ha un’età compresa tra 0 e 15 anni e circa 700 bambini si trovano attualmente in stato vegetativo.

Liliana Carbone

Dispositivi, Innovazione

Dispositivi medici, Assobiomedica: «Obsoleto il 50% delle strutture»

Sono più del 50% le apparecchiature di diagnostica per immagini e di elettromedicina troppo vecchie. Risonanze magnetiche, Pet, Tac, angiografi, mammografi, ventilatori per anestesia e terapia intensiva, che per l’età avanzata riducono i benefici per il paziente raggiunti dalle tecnologie più recenti: diagnosi più accurate e precise, minori esposizioni alle radiazioni, minore quantità delle dosi, maggiore velocità di esecuzione dell’esame, referti informatizzati.

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