Sono più del 50% le apparecchiature di diagnostica per immagini e di elettromedicina troppo vecchie. Risonanze magnetiche, Pet, Tac, angiografi, mammografi, ventilatori per anestesia e terapia intensiva, che per l’età avanzata riducono i benefici per il paziente raggiunti dalle tecnologie più recenti: diagnosi più accurate e precise, minori esposizioni alle radiazioni, minore quantità delle dosi, maggiore velocità di esecuzione dell’esame, referti informatizzati.
Gli svantaggi di un parco apparecchiature troppo vecchio non sono però solo per il paziente, ma anche per la sostenibilità del Servizio sanitario, che si trova ad affrontare più numerosi costi di manutenzione con eventuali ritardi e sospensioni nell’utilizzo dei macchinari, che generano tempi di attesa più lunghi e carichi di utilizzo mal gestiti. Nello specifico, destano preoccupazione l’95% dei mammografi convenzionali con più di 10 anni di vita, così come il 69% di apparecchiature mobili convenzionali per le radiografie, il 52% dei ventilatori di terapia intensiva e il 79% dei sistemi radiografici fissi convenzionali.
Assobiomedica ha messo in luce un problema preoccupante per i pazienti e per il Sistema sanitario, evidenziando come l’Italia si posizioni in fondo alla classifica europea per numero di apparecchiature diagnostiche obsolete. Adesso che buona parte dei conti della Sanità sono stati risanati, è necessario tornare a investire per rinnovare le strutture sanitarie del Paese e riportare il nostro Ssn a livelli competitivi. Il Governo ha lavorato bene su industria 4.0 e sugli investimenti sul digitale, oggi bisogna allargare questo approccio all’ambito sanitario per agevolare il rinnovamento del parco apparecchiature presenti negli ospedali italiani e avviare un’azione d’investimento sulle tecnologie innovative. È possibile farlo intervenendo sui meccanismi di rimborso, creando dei sistemi di incentivo per l’utilizzo delle nuove tecnologie e tariffe penalizzanti per i macchinari troppo vecchi.