Roma. 4 Dicembre 2019- Le associazioni pazienti con tumori del sangue riunite per creare il primo network nazionale: F.A.V.O. neoplasie ematologiche. Una nuova ed importante realtà associativa che vuole rispondere ai bisogni delle persone che hanno ricevuto e riceveranno una diagnosi di neoplasia ematologica. In occasione della presentazione del nuovo Gruppo di lavoro nato all’interno della storica Federazione di Associazioni Pazienti di Volontariato in Oncologia (F.A.V.O.) sono stati presentati i risultati del sondaggio “Le voci contano” condotto su 850 pazienti, che hanno messo in evidenza importanti lacune informative riferite dai malati in merito alla malattia, al percorso di cura e alle conseguenze causate da un tumore del sangue sulla qualità di vita.
Un dato significativo che emerge e fa riflettere riguarda la percezione del ruolo delle Associazioni Pazienti: due terzi degli intervistati (65 per cento) non erano a conoscenza della loro esistenza al momento della diagnosi, e poco meno della metà (41 per cento) è stato invitato a contattarle, perlopiù da altri pazienti. Per contro, circa l’80 per cento di chi vi si è rivolto ha trovato molto utile il supporto ricevuto.
“Si tratta di un network finalizzato a costituire una voce unica e più forte nel dialogo con le istituzioni – spiegaDavide Petruzzelli, Coordinatore F.A.V.O. Neoplasie Ematologiche e Presidente di La Lampada di Aladino Onlus – Gli obiettivi sono molteplici, perché complessa è la realtà delle malattie oncologiche viste dagli occhi del paziente, e tanti ancora gli unmet needs delle persone affette da neoplasie ematologiche e dei loro familiari/caregivers”. Circa ai dati emersi dall’indagine, spiega che “indicano la capacità delle Associazioni Pazienti di rispondere in modo efficace a svariate esigenze – sottolinea Petruzzelli – ma al tempo stesso la necessità di dare maggiore visibilità di queste organizzazioni che da tempo ormai si pongono come interlocutori del processo di cura insieme agli altri stakeholder”.
La nascita di F.A.V.O. Neoplasie Ematologiche si inserisce in un contesto epidemiologico caratterizzato da una crescita costante dell’incidenza delle malattie onco-ematologiche: negli ultimi 13 anni, infatti, le diagnosi di Linfoma Non Hodgkin sono aumentate del 45 per cento e quelle delle leucemie del 26 per cento. Ma a fronte di un’aumentata incidenza, derivante da fattori demografici quali l’aumento della popolazione e l’allungamento della vita media, oggi la sopravvivenza a cinque anni per tutte le forme di leucemia si aggira intorno al 43 per cento negli adulti, arriva al 50 per cento nel mieloma e raggiunge per il Linfoma di Hodgkin il 75 per cento, grazie soprattutto alla ricerca e a terapie innovative che hanno radicalmente modificato la storia clinica di queste malattie. “Oggi in Italia vivono circa 900.000 persone guarite dal cancro, e questo è un dato nuovo ed estremamente importante poiché impone alle Associazioni Pazienti un nuovo obiettivo: lavorare coese per eliminare le barriere che ostacolano il ritorno alla vita normale – dichiara Francesco De Lorenzo, Presidente F.A.V.O. – Dato che oggi grazie alla ricerca si può guarire, una diagnosi in giovane età non può costituire un ostacolo insormontabile all’inclusione sociale e lavorativa e, di conseguenza, alla piena realizzazione della propria vita”.
Al contrario, il sondaggio evidenzia che in circa la metà dei pazienti la malattia ha causato problemi nella sfera lavorativa propria e dei familiari, mentre più del 30 per cento ha incontrato difficoltà nell’accesso al credito e ai prodotti assicurativi. Sono queste autentiche discriminazioni che inaspriscono ulteriormente la già difficile condizione dei pazienti e ancor di più quella degli ex-pazienti e che necessitano di urgenti decisioni politiche. Uno stigma che accompagna i pazienti per tutta la vita e che contrasta con il senso della parola “guarigione” che inizia a frequentare il mondo dei tumori.
Molte le carenze informative lamentate dai pazienti: infatti solo il 35% degli intervistati aveva sentito parlare della sua patologia prima della diagnosi, e prevalentemente attraverso la televisione e la radio o da parenti e amici, mentre più di due terzi degli intervistati (73 per cento) non sa cosa sia un campione biologico, uno strumento fondamentale per una diagnosi corretta e per la ricerca di nuovi trattamenti, nel momento in cui il paziente decide di affidarlo ad una biobanca. “Quando questo accade, il paziente ha diritto non solo ad una informazione accurata, ma anche a dare un consenso informato alla ricerca, diverso e molto più dettagliato di quello che si firma per l’accesso alle cure – spiega Elena Bravo, Senior Researcher dell’Istituto Superiore di Sanità – Un paziente informato, consapevole delle potenzialità del proprio campione, oltre a vigilare su un uso corretto del proprio materiale biologico, può fornire un contributo essenziale nella definizione dei principi di gestione etici, sociali e scientifici”.
Altro rilevante deficit informativo emerso dal sondaggio riguarda il Consenso Informato. L’80 per cento degli intervistati dichiara di aver firmato un Consenso Informato, ma solo il 66 per cento ritiene di aver ricevuto un’informazione chiara e completa sulle cure. “Il Consenso Informato non è un atto istantaneo – specifica Francesco Angrilli, responsabile centro diagnosi e terapia linfomi dell’Ospedale Civile Spirito Santo, Pescara – bensì è una vera e propria procedura nell’ambito della quale il paziente deve essere anche messo nelle condizioni di porre domande e ricevere risposte dal medico, del tempo necessario, se lo ritiene, per discutere della proposta con i propri familiari, medici e/o persone di fiducia, prima di comunicare la propria decisione”. Troppo spesso invece l’adesione si limita a una firma su un documento non compreso appieno e sottoscritto in un momento di grande fragilità emotiva.
In merito infine al supporto psicologico, più della metà dei pazienti intervistati (64 per cento) ha dichiarato di non avere ricevuto alcuna proposta di assistenza specialistica: tutti coloro che, al contrario, hanno usufruito di uno psicologo attraverso i servizi offerti dalle Associazioni Pazienti, ne hanno tratto grandi benefici, a livello personale e di nucleo familiare.Un’informazione negata o poco esaustiva si traduce in minori opportunità di opzioni di cura, come l’accesso a studi clinici sperimentali: meno del 20 per cento vi ha partecipato e solo l’11 per cento ha ricevuto spiegazioni di cosa si trattasse: il fatto che la stragrande maggioranza non abbia risposto alla domanda è chiaro segno di una mancanza di condivisione tra medici e pazienti delle informazioni sulle opzioni terapeutiche.I percorsi terapeutici oggi si snodano attraverso tempi sempre meno trascorsi nelle strutture ospedaliere e sempre più sul territorio e i pazienti, diversamente da un tempo, a volte riescono a condurre una vita vicina alla normalità, prevalentemente vissuta lontano dal proprio specialista di riferimento: per questo il ruolo del MMG è determinante.
“Al fine di evitare ulteriori disagi al paziente, già provato dal carico della malattia» – sottolinea infatti Paolo Spriano, Vice Presidente Snamid – è auspicabile che si migliori la comunicazione tra specialista ematologo e MMG e tra queste due figure mediche e il paziente, creando quella triangolazione necessaria a trasferire in modo corretto le informazioni che riguardano l’evoluzione della patologia e della cura. In uno scenario di crescita di consapevolezza sul ruolo della comunicazione tra medico e paziente, le Associazioni, grazie anche al loro capitale di speranza e di esperienza, possono svolgere un ruolo di grande supporto”. Far sentire i pazienti utili e considerati attraverso una riabilitazione della persona, non solo nella funzione lesa, ma anche psicologica, sociale, lavorativa è un diritto che le Associazioni Pazienti possono e devono difendere e far rispettare: questo l’impegno e la promessa che guiderà le attività future di F.A.V.O. neoplasie ematologiche, nata per fungere da ponte tra i pazienti, clinici e istituzioni.