La questione è rara, per fortuna. Sono ottocento gli italiani colpiti dall’insufficienza intestinale cronica benigna: di cui 150 bambini. Ma oltre l’etichetta, c’è una malattia che si manifesta in un modo che appare quasi incredibile: con l’incapacità da parte dell’organo di digerire i cibi e di assorbire le sostanze nutritive in essi contenute.
La condizione, di fatto, impedisce la normale crescita di qualsiasi individuo e se la si definisce benigna è soltanto per il suo manifestarsi in assenza di un tumore. «Ogni giorno i pazienti si trovano a dover affrontare l’isolamento socio-lavorativo e difficoltà di accesso a un’appropriata assistenza sanitaria – afferma Loris Pironi, direttore del centro regionale per l’insufficienza intestinale cronica del Policlinico Sant’Orsola di Bologna -. Una conseguenza legata sia alla rarità della condizione sia alla forte disomogeneità di trattamento sul territorio nazionale. Ecco perché l’obiettivo deve essere quello di giungere al riconoscimento dell’insufficienza intestinale cronica benigna come una malattia rara dal servizio sanitario nazionale».
La nutrizione parenterale rappresenta infatti la terapia salvavita, consistente nell’infusione nel sangue venoso di adeguate miscele nutritive. La procedura viene eseguita prevalentemente a domicilio per garantire, tanto al paziente quanto ai familiari, una migliore qualità di vita e reintegro sociale.
Esclusa la natura neoplastica, le cause dell’insufficienza intestinale cronica benigna possono essere diverse: intestino troppo corto, alterazioni croniche della motilità, danni estesi della superficie deputata all’assorbimento e fistole intestinali. La condizione, al momento, non è ritenuta una malattia di per sé, ma un terreno fertile per determinare complicanze in presenza di altre condizioni patologiche del tratto digerente. La prognosi dipende essenzialmente dalla malattia di base che ha causato la insufficienza intestinale.
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