Sono circa trentaduemila all’anno, pari al 6,7 per cento del totale, i neonati che in Italia vengono alla luce prima del termine della gravidanza. I dati, diffusi dalla Società Italiana di Neonatologia, identificano quei bambini che terminano il loro percorso di vita intrauterina entro la trentasettesima settimana di gestazione.
«Più bassa è la loro età gestazionale, maggiore deve essere l’assistenza», dichiara Mauro Stronati, direttore della struttura di neonatologia e patologia neonatale del policlinico San Matteo di Pavia e presidente della Società Italiana di Neonatologia.
A partire dagli Anni 50 le nuove ricerche scientifiche hanno permesso di individuare terapie sempre più efficaci, per consentire una sopravvivenza sempre maggiore ai neonati prematuri e in particolare a quelli con peso alla nascita molto basso (meno di 1,5 chili) e a quelli con peso estremamente basso (inferiore a un chilo).
Per garantire la migliore assistenza possibile a questi bambini, la prima indicazione degli esperti tocca un tasto dolente: la chiusura dei punti nascita più piccoli, quelli che fanno registrare meno di cinquecento parti all’anno. Un punto su cui il dibattito dovrebbe essere chiuso ormai da sei anni: tanti ne sono passati dalla riorganizzazione della rete neonatale. Ma che invece è ancora di estrema attualità, visto che tradurre in pratica queste indicazioni è molto difficile a livello locale, dove spesso la popolazione è contraria alla chiusura di quelli che fino a questo momento sono stati i punti di riferimento delle giovani famiglie.
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