Circa 35 milioni di italiani nel 2016 hanno affrontato spese sanitarie di tasca propria, pari ad una spesa di 35 miliardi di euro. Gli anziani, sempre più numerosi spendono una volta e mezzo in più rispetto alla popolazione generale e più del doppio (gli anziani non autosufficienti) in tema di out of pocket. Circa 13 milioni di italiani hanno difficoltà a far fronte alla spesa sanitaria, 7,8 milioni hanno usato tutti i risparmi per fronte alle spese sanitarie rispetto a 2 milioni di persone che aumentano la categoria della nuova povertà.  La spesa sanitaria privata nel 2017 si è attestata su circa 35 miliardi e solo 5 miliardi sono stati intermediati da forme sanitarie integrative (12 milioni italiani (il 19%) fanno ricorso alla ‘spesa intermediata’ di cui il 55% sono dipendenti e il 14% autonomi) e tale settore gestisce circa 5 milioni della spesa (2%).

 

In Regione Piemonte la sanità privata accreditata vale il 6%, ben inferiore della percentuale di altre Regioni del Nord. La spesa complessiva per il privato accreditato è di 650 milioni su un bilancio complessivo di 8 miliardi e 300 milioni di euro. La tenuta del servizio sanitario nazionale è una delle sfide più difficili e più impegnative che le future forze di governo dovranno affrontare. Il sottofinanziamento del sistema e il progressivo aumento del costo dell’innovazione farmacologica e tecnologica comportano una trasformazione del sistema sanitario nazionale in cui il ruolo del privato e il suo rapporto con il sistema pubblico diventano l’asse portante. Il privato non solo gestisce strutture in campo sanitario e socio assistenziale, ma progressivamente si affaccia su mercati di gestione e di investimento che l’attuale legislazione, data la carenza di finanziamenti pubblici, norma e incoraggia. Si vedano il nuovo codice degli appalti, il decreto ministeriale sulla concorrenza che consente a gruppi finanziari l’acquisizione di farmacie territoriali, l’outsourcing non solo più di servizi accessori, ma di unità operative e diagnostiche, la crescita di tutto il comparto assicurativo, il turn around o addirittura la gestione affidata a privati di strutture pubbliche a rischio di default. La regione Piemonte, che recentemente dopo un lungo cammino è uscita da un piano di rientro difficile e doloroso, va incontro agli stessi cambiamenti presenti in altre regioni ove la trasformazione silente del sistema avviene non sempre coerentemente, data la carenza di indirizzi nazionali utili al governo del cambiamento, con l’aggravio di un sottofinanziamento accertato e riconosciuto da tutti gli attori della sanità periferica e centrale. Di questi temi la Scuola di Motore Sanità, dedicata al rapporto futuro tra pubblico e privato e al suo impatto sulla società in rapida trasformazione, si è occupata il 25 giugno nel corso di un meeting aperto al pubblico per raccogliere e discutere dubbi, proposte e analisi degli esperti del settore, dei cittadini e degli operatori della sanità e del welfare italiano e in particolare della Regione Piemonte. L’evento è stato organizzato con il supporto non condizionato di Boston Scientific e Aiop, Associazione Italiana Ospedalità Privata – Regione Piemonte.

 

La cornice del convegno è il Complesso sanitario assistenziale “Bosco della Stella” di Rivoli, modello di sanità privata bene inserito nel contesto del Servizio sanitario pubblico dell’area torinese metropolitana e piemontese, una struttura accreditata con il sistema sanitario nazionale che accoglie persone anziane, autosufficienti e non, che hanno necessità di un’assistenza sanitaria su misura e professionale, di un sostegno nelle attività quotidiane, di un aiuto per i concreti bisogni psicologici e di relazione. Il 15 giugno “Bosco della Stella” ha compiuto tre anni di vita. Nel corso degli anni questo Complesso ha acquisito il merito di relazionarsi con il sistema sanitario, ascoltando le richieste del territorio (la popolazione del solo comune di Rivoli conta 48.748 persone) per meglio rispondere ai suoi bisogni. Il risultato è stata la realizzazione, ogni anno, di un nuovo servizio. Con 680 ingressi registrati dal giugno 2015 al 20 giugno di quest’anno (gli ospiti hanno un’età che va dai 52 anni a oltre 100 anni), nel 2017 ne ha contati 95 in totale. La struttura è dotata di 212 posti letto distribuiti in due Rsa, la residenza sanitaria assistenziale “San Giovanni Bosco” con 120 posti letto, e la Rsa “Santa Maria della Stella” con 80 posti letto, che inaugura, al piano terra, un nuovo “Nucleo dedicato all’alta intensità di cure” con 12 posti letto, di cui 10 in Rsa e 2 in pronta accoglienza. All’interno della Rsa “Santa Maria della Stella ”, dal 2 novembre 2016 ha sede il Centro diurno integrato “La Magnolia”, con 20 posti, che consente agli ospiti un inserimento più graduale in Rsa; ad oggi gli ingressi presso il centro diurno sono 62 e la media di presenze giornaliere è di 15 ospiti. Il Complesso “Bosco della Stella” ospita inoltre un centro prelievi, che è stato aperto il 7 marzo 2016, che effettua circa 55 prelievi al giorno per un totale di oltre 1.100 al mese, con apertura dal lunedì al venerdì, ed il servizio di guardia medica. Questi ultimi due servizi afferiscono all’Asl To 3.

 

«Il Piemonte dispone di un sistema sanitario di grande qualità che non è venuta meno durante i difficili anni del piano di rientro dal debito sanitario – ha spiegato Nino Boeti, Presidente Consiglio Regionale del Piemonte che ha introdotto i lavori –. L’uscita della nostra Regione da quella situazione di ‘commissariamento’ è stato un risultato importante, che è costato sacrifici e scelte dolorose, ma aver chiuso quella pagina nera per la  sanità piemontese ci permette guardare al futuro con ottimismo. Siamo tornati ad assumere personale medico e infermieristico, e a investire in edilizia sanitaria. Ma soprattutto dobbiamo aggredire le liste d’attesa». Secondo Boeti «il pubblico da solo non è in grado di farcela, serve la collaborazione del privato. Nella nostra Regione la sanità privata accreditata vale il 6%, ben inferiore dalla percentuale di altre Regioni del Nord. Su un bilancio complessivo di 8 miliardi e 300 milioni di euro, la spesa complessiva per il privato accreditato si aggira sui 650 milioni. Per questo credo si debba incrementare la collaborazione tra pubblico e privato su obiettivi specifici come l’abbattimento dei tempi di attesa per visite specialistiche e interventi chirurgici, ma anche per ridurre le liste di attesa per i ricoveri degli anziani non autosufficienti. Questo ci aiuterà a garantire ai cittadini piemontesi un sistema sanitario ancora più disponibile ed amico».

«Credo che il tempo in cui la competizione era tra soggetti a prescindere dal risultato e dalla risposta sia passato – ha affermato Flavio Boraso, Direttore generale Asl To 3
 -, oggi credo che dovremmo essere più concentrati sulla risposta al cittadino a prescindere dall’erogatore.  Il tema dell’out of pocket è un dato di fatto e bisogna tenerne conto e immaginare degli strumenti nuovi e innovativi che oggi forse sono ancora carenti. Quindi credo che dovremmo trovare un accordo rispetto ai bisogni e, rispetto a questi, confrontarsi con molta serenità e molta onestà ridiscutendo eventualmente le regole di ingaggio e vedere come il sistema pubblico si può integrare con il sistema privato e viceversa per rispondere adeguatamente ai bisogni della popolazione».

«Il tema oggi trattato – ha spiegato Giancarlo Perla,
Presidente Aiop Piemonte – è di fondamentale importanza per il futuro delle nostre strutture in un contesto che vede interagire e collaborare il sistema sanitario pubblico e privato a vantaggio del cittadino. L’impianto costruito con la delibera che definisce lo schema di contratto per gli anni 2018-2019 fa delle scelte: privilegia le prestazioni più appropriate e scoraggia le prestazioni meno appropriate, recupera la mobilità passiva e incoraggia la mobilità attiva. Tale linea di intervento è iniziata nel 2017 e si è sviluppata nel secondo trimestre evidenziando delle criticità: se il fabbisogno non viene calibrato correttamente, in alcune Asl le risorse non vengono assegnate per mancanza di produzione, in altre Asl mancano: è giusto riequilibrare i fabbisogni, ritararli sulla produzione storica e creare un ammortizzatore di sistema a livello regionale per una ridistribuzione delle risorse che compensano le carenze. Io sono convinto che una partnership pubblico-privata sia un buon inizio che può portare dei risultati interessanti, non solo a beneficio dei cittadini piemontesi, ma anche delle casse della Regione. Se il saldo oggi è di 60milioni in negativo, questo lavoro può migliorate sicuramente il saldo finale».

 

Sul tema della gestione integrata del sistema sanitario nazionale e le proposte innovative per la partnership pubblico-privato l’assessore alla Sanità di Regione Piemonte Antonio Saitta ha dichiarato «Considero il privato accreditato una parte del sistema sanitario nazionale a tutti gli effetti, ma ad una condizione, che il sistema pubblico abbia la capacità di stabilire regole precise finalizzate a garantire i servizi ma, possibilmente, anche a stabilire qualità per il privato».

Il direttore dell’Istituto Superiore della Sanità Angelo Del Favero ha aggiunto «l’alleanza tra pubblico e privato deve diventare sinergia consolidata, fare sistema e favorire la collaborazione tra i due ruoli rende sostenibile il sistema sanitario nazionale e favorisce i processi di cura e di assistenza. L’invecchiamento della popolazione, inoltre, si intreccia con la cronicizzazione delle malattie che fanno crescere la domanda di assistenza e quella di risorse al Servizio Sanitario Nazionale. Fattori questi che implicano l’esigenza di ottimizzare le forze e le competenze degli attori coinvolti».

«Sanità pubblica e sanità privato in realtà non fanno una disputa ideologica tra loro, ma devono rispondere alle esigenze del cittadino che prescindono dalla natura e dalla qualità dell’erogatore: al cittadino importa che la prestazione sia tempestiva, di qualità, meglio ancora se di eccellenza, e compatibile con il suo bilancio familiare – ha puntualizzato Michele Vietti, Presidente Finlombarda e Gruppo Santa Croce Oggi l’esborso privato in sanità ammonta a circa 35miliardi, questo vuol dire che 36milioni di italiani tira fuori di tasca propria un importo di 35miliardi per pagarsi spese sanitarie che il servizio sanitario nazionale non è più in grado di accollarsi».

Secondo Vincenzo Giannattasio Dell’Isola, Business Unit Director Southern Europe Healthcare Solutions & Partnerships at Boston Scientific ha spiegato che «tale partnership offre l’opportunità di sostenere meglio i nostri clienti, che si trovano ad affrontare le sfide poste da un sistema sanitario in evoluzione. Quindi, abbiamo migliorato la nostra offerta di prodotti al fine di includere soluzioni innovative e sostenibili che vadano a integrare le nostre tecnologie. La nostra visione mira a creare valore per i nostri clienti, migliorando la qualità dei risultati, l’esperienza dei pazienti, l’efficienza operativa, la solidità finanziaria e la soddisfazione del personale. Il portafoglio Advantics offre soluzioni incentrate sulla collaborazione e specifiche per le esigenze della singola struttura, tramite proposte concrete e realizzabili di partnership pubblico-privato». Boston Scientific, da oltre 35 anni, trasforma le vite grazie a soluzioni innovative che migliorano la salute dei pazienti in tutto il mondo, offrendo un’ampia gamma di soluzioni dalle elevate prestazioni, che affrontano le esigenze non ancora soddisfatte dei pazienti e riducono i costi per l’assistenza sanitaria. «I nostri prodotti e le nostre tecnologie – ha proseguito Giannattasio Dell’Isola – sono utilizzate per diagnosticare o trattare un’ampia gamma di patologie, tra cui quelle cardiache, digestive, polmonari, vascolari, urologiche e femminili, nonché le patologie caratterizzate da dolore cronico».

«È necessario un grande cambiamento nelle modalità di erogazione dei servizi sanitari che tenga conto dell’incremento dell’aspettativa di vita delle persone, dei nuovi modelli di assistenza per la cronicità che mettono al centro la persona e il suo progetto di cura e della deospedalizzazione del paziente attraverso l’utilizzo alla telemedicina e il potenziamento della medicina territoriale» secondo Ferruccio Ferranti, Direttore generale CSI Piemonte. «Si tratta di un importante cambio di paradigma – ha proseguito -: il sistema sanitario pubblico è chiamato a rispondere in modo produttivo al bisogno di salute del cittadino e lo può fare anche attraverso la collaborazione e il collegamento con il settore privato. Ciò richiede per il mondo della sanità pubblica, e non solo, forti competenze gestionali, tecniche, economiche, finanziarie e giuridiche per creare nuovi modelli di collaborazione tra pubblico e privato, a beneficio del cittadino».

«L’integrazione tra pubblico e privato in sanità è oggi un dato di fatto, che non riguarda i soli aspetti relativi al finanziamento della spesa sanitaria, ma anche la scelta degli erogatori sanitari e le politiche di prevenzione sanitaria – ha spiegato Domenico Lucatelli, Regional Affair Manager Angelini e Presidente Focus Pa -. La crescente diffusione della sanità integrativa pone delle domande sulla sostenibilità del sistema sanitario nazionale e sulla stessa natura del sistema. Se prendiamo atto di questa situazione le domande che oggi ci dobbiamo porre non riguardano gli ambiti del pubblico e del privato nella sanità, ma bensì cosa vogliamo finanziare, cosa possiamo finanziare, come vogliamo finanziare il nostro sistema sanitario nazionale?».

«Oggi Siemens Healthcare – ha spiegato Pierluigi Belviso, Head of Sales – Region 1 Siemens Healthcare – punta sul rapporto pubblico-privato per sviluppare nuovi modelli di partnership tecnologica (equipment managment) ma anche su modelli di gestione scalabili, basati sull’outcome qualitativo dell’intero processo di cura e che hanno la Digital Trasformation come cardine».

Secondo Roberto Soj, Direttore generale Lombardia Informatica «ripensare l’articolazione della rete dei servizi a partire dal bisogno della persona significa, innanzitutto, individuare modelli di cura e presa in carico fondati sull’appropriatezza rispetto alla domanda di salute e non in relazione alla tipologia dei servizi esistenti. Si mira a superare la logica “verticale” delle cure intese come la sommatoria di singoli atti diagnostici, terapeutici ed assistenziali a cui corrispondono un numero uguale di responsabilità, per attuare un modello che accompagna la persona, la segue e indirizza secondo una logica di “responsabilità unica” di presa in carico rispetto ad una molteplicità di attività e servizi, in cui tutti i soggetti della rete, incluso l’assistito, diventano parte attiva».

 

Quanto costa la sanità privata e su chi pesa? «L’impatto sociale della spesa sanitaria privata è fortemente diseguale e pesa di più su chi ha di meno, su chi vive in territorio a più alto disagio, su chi ha più bisogno di sanità come gli anziani longevi (over 65), che spendono una volta e mezzo in più rispetto ai baby booemer (35-64 anni) e come le persone non autosufficienti che spendono più del doppio rispetto alla media. Quasi due terzi delle persone a basso reddito hanno dovuto affrontare spese sanitarie private, così come il 76,6% dei malati cronici – ha spiegato Sebastiano Marra, responsabile del Dipartimento di malattie cardiovascolari del Gruppo Villa Maria -. Dietro questo fenomeno ci sono le dinamiche demografiche, l’invecchiamento della popolazione in primis, ma soprattutto un progressivo disinvestimento della sanità pubblica con un taglio della spesa sanitaria pro capite che la Corte dei Conti ha quantificato in media in 1,1% annuale nel periodo 2009-2015. Ma questo non è un trend generale europeo perché nello stesso periodo in Francia la spesa sanitaria pubblica è al contrario crescita del + 0,8% e in Gernania del +2% medio annuo». Qual è il ruolo del medico di medicina generale? «La centralità delle cure primarie deve passare da oggetto di enunciazioni ideologiche a oggetto di reale governo e concreti investimenti – ha affermato Roberto Venesia, Segretario regionale Fimmg Piemonte -. Il medico di medicina generale ha dimostrato di essere la figura professionale in grado di poter mantenere la personalizzazione e dunque l’unitarietà della persona all’interno del processo di presa in carico e cura sia nel servizio on demand, offerto alla singola persona, che nel servizio pro-attivo, offerto a popolazioni di individui omogenee per fattore di rischio o patologia, unico modo per uniformare le cure ottenendo una razionalizzazione delle risorse anche economiche. Così facendo si riesce a mantenere non solo continuità ma anche e soprattutto unitarietà individuale nel corso dei differenti, distanti e a sincroni processi di presa in carico e cura. Tutto ciò richiede una programmazione politica regionale in grado di indicare linee di sviluppo stabili nel breve, medio e lungo termine».

 

L’incontro è stata l’occasione anche per mettere a confronto modelli sanitari di altre regioni.

«Il Veneto è da sempre una Regione che ha ricercato i migliori livelli quali-quantitatiivi dei servizi offerti e, per consentire tale risultato, ha utilizzato e sta utilizzando le competenze e specificità del settore privato quale complemento al proprio sistema di offerta sanitario e socio sanitario – ha messo in evidenza Mauro Bonin, dirigente dell’Azienda Zero della Regione del Veneto -. Un esempio tipico è stato, negli anni, il ricorso alla finanza di progetto, che ha consentito l’ammodernamento e la riduzione dei presidi ospedalieri, in un momento storico in cui le risorse finanziarie per i grandi investimenti strutturali sono assolutamente insufficienti rispetto ai fabbisogni. Altre esperienze significative, più recenti, sono rinvenibili nel ruolo del privato accreditato nella gestione di servizi sanitari in aree svantaggiate quali quelle montane e nel polesine. Fino ad arrivare anche a formule sperimentali, quali la gestione di parte delle cure primarie da parte di un soggetto accreditato, che può così vedere completa la propria filiera di servizi, in un territorio ricco di specificità quali la stagionalità turistica, che richiede flessibilità gestionali non agevoli per i servizi pubblici».