Chi si rivolge ad un centro di senologia multidis ciplinare, le unità senologiche (Breast Unit), ha un 18% in più di sopravvivenza dal tumore al seno rispetto a chi si rivolge a strutture non specializzate e ha anche una migliore qualità di vita. Eppure, ad un anno esatto dalla scadenza di legge, questi centri non sono ancora operativi in metà delle Regioni italiane.
La denuncia di questo «ritardo gravissimo» viene dall’associazione Europa Donna, che ha eseguito un’indagine conoscitiva sulle donne italiane dalla quale emerge che il 92% non sa neppure che cosa sia una Breast Unit. Eppure, una donna su 8 ha un cancro al seno e ogni anno, in Italia, 50.500 donne si ammalano di tumore al seno e ne muoiono 12.000. Le 240 unità senologiche per essere chiamate tali devono rispettare alcuni criteri, dei requisiti per garantire elevati standard di qualità di diagnosi e cura, come un certo volume di pazienti trattati, circa 150 casi l’anno, e l’avere un’equipe multidisciplinare composta da almeno sei professionisti.
Il team segue ogni fase del percorso della paziente: dallo screening mammografico, agli esami di accertamento e approfondimento diagnostico, al primo colloquio con l’equipe multidisciplinare, fino alla diagnosi, all’inizio del percorso terapeutico e alla fase di follow up. Solo l’8% delle donne italiane tra i 40 e i 70 anni conosce bene cosa siano i centri di senologia multidisciplinari. Lo mostra un’indagine condotta dall’istituto di ricerca
SWG su un campione rappresentativo di 1.042 donne italiane nella fascia d’età più a rischio per il tumore al seno (dai 40 ai 70 anni). E nonostante l’84% abbia vissuto la malattia in prima persona o attraverso amici e parenti stretti, comunque il livello di conoscenza generale è molto basso. E solo il 16% si dichiara informato sui luoghi di cura. Quanto alle Breast Unit, il 37% delle donne ne ha sentito parlare, ma di queste solo l’8% sa bene di cosa si tratti.